di Raffaele Ragusa
Patti Smith, la “poetessa laureata del punk” ha portato a Gorizia la sua coerente, incondizionata e verace vena artistica. La sua mente creativa, radicata nella poesia beat sin dagli inizi della carriera, riesce a spingerla a dare sempre, per quanto possibile a quasi 77 anni, tutta sé stessa al suo pubblico.
La data al Piazzale della Casa Rossa di Gorizia ha seguito il sold out di Parma del giorno prima.
Queste due date hanno anche anticipato l’inizio del vero e proprio tour italiano di Patti Smith, “A Tour of Italian Days”, annunciato poco meno di un mese fa. Il concerto di Gorizia, quindi, ha fornito la possibilità di ascoltare quasi in anteprima il repertorio scelto dalla Smith per la prossima serie di concerti.
La formazione comprende il figlio di Patti, Jackson Smith, alla chitarra, Jay Dee Daugherty alla batteria e Tony Shanahan al basso, alle tastiere ed alla chitarra acustica. Una line-up molto tradizionale, più che sufficiente per rendere al meglio il fine set proposto.
A livello discografico la Smith arrivava dal suo ultimo lavoro datato 2020 “Peradam”, un disco parlato nato dalla collaborazione con i Soundwalk Collective ed ultimo capitolo della trilogia “The Perfect Vision”. Per quanto riguarda l’aspetto letterario, invece, Patti promuoveva a Gorizia il suo ultimo lavoro del 2022, “A Book of Days”, con anche la possibilità di comprarne sul luogo una copia dell’edizione italiana, autografata dalla cantante stessa.
L’atmosfera di festa transfrontaliera per questo primo grande evento all’alba di GO! 2025 era palpabile fin dall’esibizione dei gruppi di apertura, gli italiani Overlaps e gli sloveni Imset, ma si è caricata ancor di più in una commossa ovazione all’entrata in scena, puntualissima, di una donna dalla silhouette tanto esile quanto massiccio è stato il suo ruolo nella storia del rock più pacifista: la leggendaria sacerdotessa maudite Patti Smith.
Innanzitutto, c’è gratitudine, in tutti i sensi: “Siamo grati essere qui” afferma Patti Smith e dunque ecco “Grateful” e quale modo migliore per dimostrarsi ancora sempre in prima linea nel fornire spunti di riflessione profonda se non suggerire a più di 8.000 persone di essere grati, sempre, per tutto.
La scenografia è totalmente assente, se non per l’impianto luci, non ci sono megaschermi o abbigliamenti particolari, c’è solo la musica ed il pubblico, come alla Smith è sempre piaciuto che fosse.
Si prosegue subito con “Ghost Dance” ed introducendo questo brano la cantautrice di Chicago ricorda a tutti noi quanto sia fondamentale avere cura, in quanto ospiti, del nostro pianeta: dai fiumi, agli oceani, dalle foreste ai popoli indigeni di tutto il Mondo. Il terzo brano, “My Blakean Year”, è dedicato invece a tutti i lavoratori di ogni settore, un po’ troppo spesso sfruttati, dimenticati e ai quali non si è sufficientemente riconoscenti.
Il quarto brano in scaletta è invece un toccante tributo personale dell’icona statunitense al chitarrista Tom Verlaine dei Television scomparso lo scorso gennaio: “Guiding Light”, perché, dopotutto, abbiamo tutti bisogno di una.
La litanica e arcana “Nine” è il brano seguente e qui la Smith evoca sonorità richiamanti le tradizionali musiche dei nativi americani grazie anche alla band, che la sostiene magistralmente creando un tappeto sonoro avvolgente ma mai disturbante, eccessivo o prevaricante.
Dopo un inizio delicato e riflessivo era il momento del primo grande successo inserito in scaletta: “Dancing Barefoot”, dal suo quarto album “Wave” del 1979.
Il singolo fu dedicato a Jeanne Hebuterne, concubina di Modigliani che dalla disperazione si tolse la vita due giorni dopo la morte del pittore e scultore italiano in un atto così estremo da sembrare shakespeariano.
L’onda vibrazionale rimane poi ad alta frequenza, raggiungendo forse il picco in tutta la serata, grazie ad una lunga versione di “Beneath the Southern Cross”, brano in puro e classico stile rock. Un inno alla libertà e alla vita: dopo la strofa cantata, Jackson Smith si lancia in un rabbioso, energico, coinvolgente e prolungato assolo di chitarra elettrica verso la fine del quale inizia a duettare con gli assoli di Shanahan al basso. I due, durante i loro trades citano anche “A Day in the Life” dei Beatles e concludono riprendendo la progressione principale del brano, lasciando successivamente alla Smith il compito di cantare la fine del brano.
L’estesa sezione strumentale ha altresì dato la possibilità alla star, affetta da un po’ di tosse, di far riposare un po’ la sua voce, rimasta comunque invariata nel timbro vivido e passionale dagli anni ’70. Dopo “One Too Many”, “Peaceable Kingdom”, una delle sue poesie musicali più suggestive e “Pissing in a River”, è stato il momento dell’intima “After the Gold Rush” di Neil Young.
Dopo un’ora e dieci, l’esibizione volgeva al termine, ma è stato solo l’inizio del tripudio.
L’ultimo brano in scaletta, infatti, non poteva che essere la celeberrima “Because the Night”, scritta originariamente dal boss Bruce Springsteen e dedicata poi da Patti al marito Fred, padre di Jackson.
Le luci, all’improvviso diventate di colore rosso fuoco per accompagnare questo inno all’amore di una coppia universale, creano un’aura perfetta attorno alla figura di Patti Smith mentre canta, stanca, questa pietra miliare. Il pezzo viene eseguito un po’ sotto tempo rispetto alla versione da studio ma risulta indubbiamente proprio per questo più tormentato e distinto. Alla fine di esso, il pubblico ha cantato a squarciagola l’ultimo ritornello, per quello che è stato forse il momento più atteso del concerto, dato il successo discografico della composizione.
Quasi inaspettatamente, data la velocità apparente con cui la performance di dodici brani era trascorsa, era tutto finito. O quasi. Effettivamente, dopo i consueti inchini e l’uscita dal palco degli artisti, questi sono risaliti per il bis “People Have the Power”, portando con loro, letteralmente per mano, un regalo: Elisa.
Le testimonianze audiovisive di questo numero possono essere certamente molto più utili delle mere parole per far comprendere la sorpresa, la gioia e la potenza sprigionatesi.
Il grande happening, inserito nella cornice degli eventi preparatori che vedranno Gorizia e Nova Gorica capitali europee della cultura nel 2025, si può affermare abbia riscosso successo e si sia svolto in maniera scorrevole e agevole, attirando spettatori di ogni età da Croazia, Austria e Bielorussia, oltre che da Italia e Slovenia. La speranza dunque che quanto visto giovedì 5 ottobre nel Piazzale della Casa Rossa sia realmente l’antipasto di ciò che tutta Europa (e non solo) potrà saggiare tra meno di due anni lascia ben presagire, dato che è proprio la gente ad avere il potere di determinare il corso degli eventi, intesi in senso lato e non.