Si entra in sala con il palco scoperto, senza sipario e con solo la batteria illuminata, facendo così intuire cosa proporrà la serata… musica, poesia, ricercatezza ma anche intimità e semplicità.
Ed infatti l’inizio non delude, si parte come si era partiti 40 anni fa, con quell’intro strumentale che tutti, o almeno quelli della mia generazione, immaginano come l’unico possibile per questo brano. Ovviamente nel cuore si spera che la voce che inizi a cantare dopo l’ultimo stacco di chitarra, dopo quel piccolo contagocce strumentale simile a dei puntini di sospensione, sia quella profonda di Fabrizio ma siamo tutti qui per ascoltarla da qualcun altro; ed infatti attacca lui, Franz Di Cioccio che con solo una frase fa scaldare il teatro Colosseo “La chiamavano bocca di rosa…”
Noti subito l’umiltà nella voce ma la sicurezza degli arrangiamenti di una poesia che “progressivamente” è stata trasformata nell’inno all’amore, sacro e profano.
Il cuore va a mille, ascoltando si quelle parole ma soprattutto quei suoni e quegli arrangiamenti che avevi sempre e solo sentito su un disco, immaginando i personaggi e le dinamiche della scena di quel palco 40 anni prima.
Si continua con “La guerra di Piero”, “Andrea” e “Un Giudice” come da scaletta originale targata 1978… o meglio le stesse canzoni ma con una variazione sulla presentazione, a mio parere molto azzeccata!
Prima di concludere il “primo dei tre quadri”, come dice Franz, non può mancare la canzone che chiudeva il “Lato A” del disco del 79… introdotto da un “basso francese e senza tasti” parte Giugno 73.
La seconda parte di questo trittico è composta dalle canzoni de “La Buona Novella”, album inciso da De André nel 1970 in cui suonò praticamente tutta la formazione storica della PFM.
Ed è a questo disco che si riferisce Franz Di Cioccio, raccontando l’aneddoto dell’inizio della storica collaborazione live tra un cantautore impegnato ed un cosiddetto e quasi disprezzato dai puristi cantautoriali, “gruppetto rock”.
“Era il 1978 e noi eravamo a suonare a Nuoro, mentre Fabrizio si era ritirato nella sua tenuta in Gallura (L’Agnata) a fare l’allevatore di mucche e il contadino” racconta Di Cioccio “ quando seppe che noi suonavamo a Nuoro gli venne voglia di venirci a sentire e a salutare, 8 anni anni dopo quella collaborazione; non aveva la patente e non sapeva guidare, quindi trovò un contadino che lo accompagnò fino a Nuoro, ci invitò a mangiare a L’Agnata il giorno dopo… io gli proposi una collaborazione Live e lui dopo che i suoi consulenti musicali gli dissero che sarebbe stato pericoloso ritornare live con un azzardo simile, disse “E’ PERICOLOSO?! BENE FACCIAMOLO”, era sempre in direzione ostinata e contraria”
Di questo disco si è detto molto ma la citazione che introduce la potente delicatezza de “L’infanzia di Maria” è il miglior modo per capire le intenzioni di De André “Cristo è stato il più grande rivoluzionario ed un grande uomo. Se lo si considera un dio non lo si può imitare ma se lo si considera un uomo si… i vangeli ufficiali sono stati scritti dall’ufficio stampa di Gesù mentre i vangeli apocrifi sono quelli che hanno più trasmesso l’umanità di ogni personaggio”
Ed è qui che parte “Il ritorno di Giuseppe” abilmente legato a “Il sogno di Maria”
A seguire il brano che di questo album è forse il più conosciuto, Il testamento di Tito reso unico da un inizio minimale di soli voce e chitarra, che vengono raggiunti via via dagli altri strumenti, arrivando al suono pieno in stile PFM.
Inizia il “Terzo quadro” e l’invito a “chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare dalla macchina del tempo” viene consacrato con “La canzone di marinella” suonata dalla PFM con Di Cioccio alla batteria e con la voce calda e profonda di Faber che emoziona e commuove il pubblico silenzioso ed attento del teatro torinese. L’applauso commosso esplode alla fine della canzone quando dal palco i musicisti salutano De Andrè dichiarando: “in questo momento siamo in 10 su questo palcoscenico”..
Si riparte subito con “Zirichiltaggia” per non lasciare il tempo alla malinconia, per poi continuare nell’allegra drammaticità di “Volta la carta”.
L’intensità del testo e la profondità degli arrangiamenti mai più cambiati introducono “Amico Fragile” violentemente sparato sul pubblico esattamente come 40 anni fa, con gli assoli fini di chitarra che entrano nelle orecchie, nell’anima ma soprattutto nella coscienza di tutto il pubblico che si sente “Evaporato in una nuvola rossa”.
Il bis a grande richiesta non può che non essere “Il pescatore” che trascina il pubblico negli ultimi due brani totalmente made in Premiata Forneria Marconi: “E’ Festa” ed “Impressioni di settembre”.
P.F.M. canta De Andrè, forse gli unici che si possono davvero permettere di farlo.
Il report e la photogallery di Luca Moschini per Musicandthecity
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